Le mie mani non sono belle mani.
Non che non lo siano mai state, una volta avevo un lavoro d’ufficio, meno gatti e meno avventure, ma ora non lo sono. Obiettivamente. Non che non mi piacciano, tutt’altro, ma non sono belle mani.
Le mie mani non sono belle mani,
di quelle da segretaria con le unghie smaltate e la manicure fatta ogni due giorni, le mie mani sono mani
da artigiana, mani da cuoca, mani da donna di casa, mani vissute. Mani che vivono.
Sono mani ruvide, piene di
cicatrici e perennemente coperte di tagli e graffi e bruciature, con le unghie mangiate e le
pellicine strappate, rovinate dal freddo e dall’acqua. Ogni taglio ogni graffio
e ogni cicatrice ha una storia, e ogni volta che le guardo le mie mani sono un
memorandum di quella storia, della mia storia.
Le mie mani tagliano verdure,
impastano pane, cucinano torte e biscotti, e poi
disegnano, scolpiscono, battono chiodi, scartano legno, verniciano muri, cuciono
vestiti, suonano corde, sfiorano visi, accarezzano musi. Le mie mani creano
oggetti, scrivono storie, creano storie, creano legami.
Sulle mie mani si legge chi
sono e io sono tutto quello che le mie mani sono in grado di fare.
Le mie mani non sono belle
mani, ma se non avere belle mani mi fa essere la persona che sono, allora
evviva le mie brutte mani.
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